mercoledì 7 novembre 2012

Il bianco può accecare.  Adrian Piper e Kara Walker

di Serena Simoni



Per quanto la questione della razza sia un falso problema dal punto di vista scientifico - data l'impossibilità di individuare categorie di esseri umani sulla base del patrimonio biologico e genetico - rimane chiaro che elementi rilevabili come il colore della pelle e i tratti fisionomici, o gli usi e i costumi diversi, hanno alimentato e ancor oggi nutrono abbondantemente pratiche di razzismo e di discriminazione. Essere bianchi o neri - per quanto sembrino concetti superati nel mondo dell'arte e della cultura - rimangono invece alla base di solide costruzioni sociali anche in un paese di recentissima immigrazione come quello italiano, dove il tema del razzismo e, al contrario, dell'opposizione ad esso, si poggiano su tematiche inerenti alla religione e alla nazionalità, epurando una serie di altri aspetti non meno importanti.

Il tema del razzismo è stato centrale nella riflessione di numerosi artisti statunitensi fin dagli anni '70, nel momento più internazionale dei movimenti dei diritti civili e della liberazione sociale. E' stato ad esempio affrontato da un'artista come Adrian Piper (New York 1948), che ha cominciato ad interessarsi fin dalla metà di questo decennio a questioni inerenti all'identità, alla razza e al genere, affrontati tramite opere prevalentemente concettuali, video e azioni. Nel 1973 Piper realizza Mythic Being, prima analisi dei processi di costruzione delle differenze razziali e di genere: appartiene a questa serie di lavori - alla cui base sta una complessa e progressiva spoliazione delle caratteristiche soggettive - una performance in cui l'artista recita un mantra tratto da una frase dei propri diari, mentre gira per le strade vestita da young black con pantaloni, occhiali scuri, parrucca afro e baffi, secondo gli stereotipi usuali. Confronto, alienazione, accettazione e differenza sono motivi esaminati sia come fenomeni sociali, che meccanismi interni alla stessa persona.

Abituata a pensare che il personale è anche politico, nel 1981 Piper - mediando la percezione di sè con quella restituita dagli altri - disegna degli autoritratti in cui esagera visibilmente gli elementi fisiognomici che appartengono allo sterotipo della razza nera, mentre in un'azione reiterata fra il 1986 e il '90 - My Calling (Cards) -, distribuisce dei biglietti da visita con osservazioni esplicite sul razzismo praticato da persone che incontra - responsabili di battute, commenti o affermazioni razziste - mettendoli a disposizione anche ad altre possibili vittime. Suscitare reazioni nel pubblico è l'effetto di molti dei suoi lavori: in Cornered - installazione del 1988 - Piper sfrutta la chiarezza della propria pelle per presentarsi su uno schermo mentre afferma di "essere nera", un'asserzione contestata dall'apparenza, ma messa in dubbio anche dall'esposizione di due certificati di nascita del padre dell'artista, in cui si afferma, in uno, la sua appartenenza alla razza bianca, nell'altro, a quella nera. Il tema dell'appartenenza alla razza e la percezione dell'altro sono obiettivi prioritari.

Rispetto a Piper, Kara Walker (1969) affronta tematiche non distanti, ma con tecniche e argomentazioni diverse. Nella varietà di impiego dei media, sono più famose le sue lanterne magiche e installazioni di silhouette di carta tagliata che l'artista ha cominciato ad utilizzare dall'inizio degli anni '90. La scelta della tecnica non è ininfluente: importata negli Stati Uniti nel corso del '700, ha molto successo fra le classi aristocratiche e l'alta borghesia, dove diventa nel tempo una forma artigianale praticata negli insegnamenti riservati alle signore della middle class. Il legame della tecnica alla ritrattistica, la semplificazione necessaria dei lineamenti fisiognomici, così come la riduzione al bianco dello sfondo e al nero delle forme (o viceversa), sono elementi che ricordano il riduzionismo su cui si basano gli stereotipi razziali.

Whiteness e blackness sono i due termini che si confrontano nel lavoro di Walker, poco interessata a trattare l'appartenenza razziale in modo autoreferenziale. Quello che la muove è l'analisi delle relazioni fra bianchi e neri dal punto di vista storico, emozionale, fisico, sessuale, razziale, in particolare quando e dove si manifestano dinamiche di potere. Ambientate generalmente nel Sud degli States prima della guerra civile, le sue scenette mettono in mostra una meta-storia, frutto della contaminazione fra realtà, letteratura, finzione e fantasia. Il procedimento ibrido è scelto perchè del tutto simile alla costruzione della memoria storica e delle identità razziali.

Violenza e soprusi sono mescolati ad una vena ironica, dagli accenti talvolta sarcastici, ma l'inquietante che travolge lo spettatore è la relazione di dominio sessuale e di bestialità che ricade su bambine, bambini e donne di colore. Sessualità mescolata a violenza e humour non rendono comunque facilmente accettabili le opere, che mettono sul piano pubblico ancora dei veri e propri tabù, ovvero quel complesso di desideri e piacere - nel ventaglio più ampio delle componenti che arrivano alla pura devianza - collegato alla storia della schiavitù dei neri.

Tutti le associazioni più triviali e cattive in relazione alla blackness emergono nel lavoro, esposte senza pudore. Walker non cerca stigmatizzazioni morali dei comportamenti, ma una presa di consapevolezza del rimosso, una sana e rivalutabile vergogna, magari "per aver semplicemente creduto nel progetto del modernismo".

I contesti delle produzioni di Piper e Walker vanno ben oltre al mondo dell'arte: durante gli anni '70, molte attiviste nere fuoriuscirono dai movimenti dei diritti civili e del Black Nationalism perchè al loro interno permanevano atteggiamenti di forte misoginia e non c'era modo di discutere i nessi inestricabili fra patriarcato, razzismo e sessismo, che - per prime - queste intellettuali indagavano. Genere e razza sono da sempre meccanismi reciprocamente costitutivi, in grado di costruire modelli sociali gerarchici dove il primo posto è riservato agli uomini bianchi (purchè etero e occidentali), il secondo alle donne bianche, poi ai neri e - in ultimo - alle donne nere.

Emarginate, le teoriche del Black Feminism provarono negli stessi anni a trovare spazio nei movimenti delle donne, senza trovare molta ospitalità: il tema della razza, così come quello della classe sociale, per loro elementi fondamentali di riflessione, venivano espunti dagli obiettivi principali della riflessione: l'essere bianche o nere, ricche o povere, erano percepiti come fattori secondari rispetto alla differenza prioritaria fra donne e uomini.

Mutuando il concetto di invisibilità a se stessi utilizzato nei Men's Studies a proposito di un modello maschile che rende l'omologazione degli uomini ad esso - tramite la cancellazione di tutto ciò che si distanzia, insieme alle soggettività e ad alcune parti vitali dell'individuo - il colore bianco della pelle assurgeva a categoria femminile neutra e onnicomprensiva, in grado di cancellare differenze sostanziali e discriminanti, anche all'interno delle riflessioni "bianche" più radicali. Questo almeno fino alla seconda metà degli anni '80: da allora in poi, grazie anche all'apporto aggiuntivo di riflessioni da parte di altre femministe di cui molte non occidentali, le inter-relazioni fra sessismo e razzismo sono diventate centrali nell'analisi della costruzioni dei generi, così come hanno dato un contributo fondamentale all'analisi del concetto generale e storico di alterità, in generale come all'interno della sola comunità maschile.



Bibliografia:

Guido Barbujani, L'invenzione delle razze. Capire la biodiversità umana, Milano 2006

Guido Barbujani, Sono razzista ma sto cercando di smettere, Roma 2010

Sandro Bellassai, L'invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell'Italia contemporanea, Roma 2011

Uta Grosenick, Women Artists, Köln 2002

bell hooks, We Real Cool. Black Man and Masculinity, New York 2004

bell hooks, Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale, Milano 1998

Lisa Gabrielle Mark (a cura), WACK! Art and the Feminist Revolution, Cambridge-London 2007

Annamaria Rivera, La bella, la bestia e l'umano. Sessismo e razzismo senza escludere lo specismo, Roma 2010

Annamaria Rivera, Estranei e nemici: discriminazione e violenza razzista in Italia, Roma 2003

Serena Simoni, Anni Ottanta e Novanta: il corpo nell'arte contemporanea, in L. Gambi, M.P. Patuelli, S. Simoni, C. Spaolonzi, Partire dal corpo, Roma 2010




Sitografia:


learn.walkerart.org/karawalker

adrianpiper.com