venerdì 26 ottobre 2012

Le Nuvole

di Daniele Serafini 


Nel 1974 Luigi Ghirri decise di fotografare il cielo per un anno intero, una volta al giorno, rappresentando i 365 possibili cieli, caratterizzati dalla presenza frequente delle nuvole.
In quelle immagini, raccolte poi nel volume Infinito, Roma, 2001, i colori dominanti sono il blue, l'azzurro, il rosa, il grigio e il bianco. Quest'ultimo ricorre spesso, perché tra le nubi frequenti sono i cumuli, che appaiono come grumi o globuli, bianchissimi se colpiti dalla luce del sole, beneficiando di quell'effetto ottico che in fotometria si chiama luminanza.
La luminanza, che trovo essere parola misterica e poetica, indica il quoziente d'intensità luminosa della luce e la sua forza di abbagliamento, propria di ogni sorgente luminosa.
I cumuli si trovano a circa mille metri. A questa altitudine volava spesso Francesco Baracca, l'asso degli assi dell'aviazione italiana. Lo faceva, raggiungendo anche i tremila metri, mentre saliva col suo aereo e si predisponeva al combattimento, cercando di rendersi meno visibile all'avversario per coglierlo di sorpresa.
Nelle giornate in cui sole e nuvole si alternavano o si rincorrevano, Baracca aveva davanti a sé soprattutto il blue e il bianco. In questo scenario, non inseguiva solo la vittoria, ma anche un sogno di libertà, di solitudine e di bellezza.

“Alle prime luci, prima delle 5, avanti il sorgere del sole, siamo tutti
partiti in volo e ci siamo dispersi nel cielo verso i 2000 metri, e giravo
in tutte le direzioni scrutando l'orizzonte; e ho veduto lassù il sole
uscir dietro i monti ed uno spettacolo di luci meraviglioso”
(1)
Quel bianco delle nubi a volte lo avvolgeva e lo nascondeva, sprigionando tutta la sua forza simbolica (2), quell'impronta iniziatica che comprende in sé i temi del divino, vala dire della vicinanza agli dei, dell'illuminazione (ogni volta ci si cimenta con una rinnovata carica vitale), nonché quelli apoptropaici, perché si crede di aver acquisito la protezione delle potenze luminose contro quelle oscure.

Lassù Baracca si cimentava ogni volta col destino e si misurava con se stesso:

“[...] Né legge né dovere mi costrinsero alla guerra, / Non gli uomini politici,
non le folle plaudenti, / Un impulso di gioia solitario / Mi guidò a questa furia
tra le nuvole”.

così il poeta Yeats pensando al Maggiore Gregory in una splendida poesia dedicata a un aviatore irlandese caduto al fronte, ma con un sentire a mio avviso non estraneo al pilota romagnolo.

Oltre mezzo secolo prima, un lughese come Baracca, di nome Agostino Codazzi, rivoluzionario e cartografo, si era addentrato ad esplorare i territori della Colombia e del Venezuela, nel corso di quella sua vita avventurosa come un orizzonte in fuga (3).

Codazzi attraversa le foreste della Guyana, risale in canoa i corsi d'acqua impetuosi che la solcano, spingendosi fino alle sorgenti dell'Orinoco e del corso superiore del Rio Négro. E quando si misura con le vaste pianure dell'Apure o la regione montuosa di Ménda, oltre la folta vegetazione anche lui incontra le nuvole e le attraversa, sfiorando o forse venendo a contatto con quel turgore algido e bianco.
Procede lungo la vasta catena montuosa che si stacca dalla Cordigliera a sud delle province di Tunga e Tundama, estendendosi fino alla valle del fiume Magdalena.
Anche lui, come Baracca, incontra silenzio e solitudine; anche lui, con quello sguardo dall'alto, vede la realtà da un'altra dimensione e con altri occhi.

Baracca e Codazzi s'incontrano così, idealmente, nel vortice dei colori, nella purezza del bianco, nei bagliori della luminanza, e a me piace pensare che in quel candore di cumuli non carichi di pioggia, vi siano la stessa purezza e la medesima ansia della pagina bianca, quel foglio incontaminato che prima o poi dobbiamo percorrere e abitare ogni volta che intendiamo divenire esploratori di un nuovo mondo, di un nuovo sapere.


Note:
1. Francesco Baracca, Lettera alla famiglia, 8 aprile 1916
2. Claudio Widmann, Il simbolismo dei colori, Roma, 2000
3. Giorgio Antei, L'orizzonte in fuga. Viaggi e vicende di
Agostino Codazzi da Lugo, Firenze, 2012.